Thomas Robson

da | 22/10/2012 | Arte

Non c’è un’età in cui smettere di giocare. O almeno questo è quello che voglio continuare a credere. D’accordo, sicuramente risulterebbe anomalo se all’età di trentanove anni io entrassi nel mio ufficio con una Barbie che fa capolino dalla borsa ma… non è di questo che stiamo parlando. I giochi di Thomas Robson sono estetico-dissacranti allo scopo di sdrammatizzare e liberarsi da determinati schemi sociali, proponendo all’immagine un nuovo contesto.

Vestire alla marinara e raccattare abiti scampanati, con un paio di euro in Senigallia, per manifestare la nonchalance dell’eleganza vintage. Crema e caffè, sebbene invernali, colorano chemisier accarezzanti pelli anemiche. Questo, il significato del vento. Al di là di quell’esposizione dal sapore preistorico, matrone del mercato improvvisano slogan accattivanti, impossibilitando il rifiuto. Respingere la consapevolezza di un’acquisto vano, per il puro piacere di spendere. Scopro di non poter sopportare l’idea di un futuro benestante, nel momento stesso in cui l’edicolante riesce a strapparmi una ventina di euro, un martedì pomeriggio qualunque. Mi piace scrivere, ma solo se quando lo faccio non dico cose interessanti. Mi chiamo Cecilia ed ho dei bei capelli.

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