Ad una prima occhiata ciò che colpisce maggiormente delle illustrazioni di Sofia Paravicini è la loro dimensione onirica e surreale. Lo stile realistico, unito a una palette di colori vintage, le fa assomigliare a stampe ottocentesche ed accentua il contrasto tra realtà e allucinazione. Ma Sofia fa di più: mette in scena un punto di vista alternativo sul mondo.
Nel suo silent book “Otto, un pesce fuor d’acqua” ad esempio racconta la realtà vista da un bambino autistico. Il suo immaginario evoca quello del celeberrimo Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, artista che Sofia mi ha raccontato di aver conosciuto di persona. Il Codex a prima vista appare come la parodia surreale di un’Encyclopédie che descrive una civiltà immaginaria ma in realtà potrebbe essere letto come il diario di un cronista alieno che tenta di interpretare la civiltà umana secondo il proprio punto di vista. Mi spingo a dire che Sofia è una chiaroveggente, come Magritte quando rappresenta sé stesso nell’atto di ritrarre un uovo posato sul tavolo e invece dipinge l’uccello che da esso nascerà.
Un saggio del suo modo di vedere la realtà appare anche nell’header che ha realizzato per Picame. Scopriamo di più su di lei.
Ciao Sofia. Iniziamo con una breve introduzione per i nostri lettori: da dove vieni e che cosa fai.
Ciao. Sono un’illustratrice, principalmente di libri illustrati per ragazzi, giornali e riviste. Vengo da Milano, dove in questo momento lavoro e vivo.
La tua formazione si è svolta tra Londra e Milano. In base alla tua esperienza quali sono le differenze tra Italia e Inghilterra nel modo di insegnare e valutare il lavoro artistico?
Mi sono laureata con una triennale in pittura e storia dell’arte contemporanea al Camberwell College of Arts di Londra e successivamente ho conseguito un master in Italia al Mimaster di Milano. Personalmente non mi sento di fare un paragone vero e proprio avendo intrapreso due studi diversi tra Inghilterra e Italia, uno più accademico e l’altro invece concentrato sul settore editoriale. Quello che mi sento di dire con certezza è che l’approccio inglese delle accademie è molto improntato al contemporaneo, sulla ricerca del concettuale, mentre per alcune accademie storiche italiane si è rimasti a un approccio d’insegnamento un po’ ‘tradizionale’. Questo approccio concettuale è sicuramente un approccio giusto, ma per me ha fatto scaturire molti dubbi sul percorso che stavo intraprendendo, facendomi infine arrivare alla conclusione che il settore artistico nel quale riesco e vorrei esprimermi non è quello dell’arte contemporanea. Una volta finito il mio percorso universitario a Londra ho avuto l’occasione di fare una breve ma molto formativa esperienza lavorativa alla Biennale d’arte di Venezia, grazie alla quale si è rafforzata in me questa convinzione. Volevo che i miei lavori vivessero senza bisogno della mia presenza e di tante parole. Lì ho deciso che quello che volevo fare era semplicemente narrare per immagini quello che vedevo o leggevo ed è così che ho capito, con non poche difficoltà, che volevo fare l’illustratrice.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Vecchi libri di botanica, gli archivi dei musei di storia naturale, sceneggiature di film, da registi surrealisti come Luis Buñuel alle opere multimediali di Matthew Barney, la pittura giapponese e le scenografie teatrali. Mentre i miei artisti preferiti in assoluto sono Hans Bellmer, Francis Bacon e il grande Hieronymus Bosch.
Quale tecnica utilizzi?
Tutti i miei lavori sono fatti a mano, uso la grafite con mine di vari spessori, sfumini e gomma pane su dei fogli Fabriano satinati cotone cento per cento. Dopodiché scannerizzo e con la tavoletta grafica metto il colore in digitale. È un processo un po’ lungo ma è l’unico che mi permette di ottenere l’effetto che desidero e allo stesso tempo stare al passo con le modifiche e le tempistiche richieste dal settore editoriale.
Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
Juan Bernabeu per i dettagli nelle sue serigrafie.
Joanna Concejo per i suoi libri che sono poesie in immagini.
Daniele Castellano per i mondi surreali che disegna.
Quanto è importante per un artista la presenza sui social media?
Ormai molto. Personalmente penso che siano una vetrina fondamentale e allo stesso tempo uno strumento che permette di seguire ‘da vicino’ colleghi e clienti in giro per tutto il mondo, aprendo quindi porte per potenziali collaborazioni a prescindere dalla distanza geografica. Io all’inizio ho fatto abbastanza fatica, non sono mai stata un’amante dei social in generale. Poi con il tempo sono riuscita a trovare il mio equilibrio tra l’essere attiva/passiva, ho quindi capito quanto volevo mostrare e non del mio lavoro e al tempo stesso della mia vita personale.
Cosa c’è sulla tua scrivania?
Computer, tavoletta grafica, un cutting mat, vari porta matite/pennelli/pennarelli, ciotoline di tutti i tipi della mia collega ce.ceramic, un Umarell blu elettrico che mi fissa tutto il giorno, un vaso con dei fiori secchi di non so quanti mesi, una scatola con dei timbri incisi a forma di pesci e insetti, un porta-scotch a forma di rana color oro – molto kitsch – vinto alla tombola di Natale, tanti post-it e l’agenda.
Un obiettivo lavorativo che vorresti realizzare entro un anno.
Iniziare a lavorare per il mercato francese nel campo degli albi illustrati e riuscire a portare avanti un mio progetto personale di mostra per il quale trovo sempre poco tempo.
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