Non c’è spazio per i buoni sentimenti nel mondo immaginato da Kine Andersen, in cui persino i gatti fumano sigarette e si sbronzano.
Le sue illustrazioni sembrano uscite direttamente dai romanzi di Charles Bukowski, e stride il contrasto tra la crudezza del tratto e la vivacità dei colori, che ricordano la pop art di Roy Lichtenstein. A differenza di quest’ultimo però Kine è nata e cresciuta negli anni ’90 in un piccolo paese della Norvegia, coltivando dentro di sè tutta la frustrazione di un adolescenza relegata nella solitudine e nell’oblio.
Il disagio esistenziale si riflette nei suoi personaggi, che sembrano trascorrere il loro tempo nella totale apatia, immuni agli imput esterni, schiavi dei vizi e irrimediabilmente persi: giovani donne dallo sguardo smarrito e dal carattere turbolento giacciono abbandonate in preda ad emozioni contrastanti, e poi sesso, droga, alcol, stereotipi e un pizzico di pulp. Deliri post-adolescenziali romanzati con astuzia o scorci estremamente lucidi della società di oggi? Ai “postumi” l’ardua sentenza.