Le illustrazioni di Irene Fioretti possiedono il dono della semplicità: basta un piccolo particolare per renderle magiche. I suoi lavori sono orientati soprattutto all’editoria infantile ma riescono a fare leva anche sull’immaginazione di noi “grandi”, a patto di lasciarsi andare alle emozioni più vere.
Iniziando ad esempio con l’illustrazione che Irene ha voluto dedicare ai lettori di Picame, che sembra volerci ricordare che siamo stati tutti bambini e che, come diceva Saint-Exupéry: “Gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore.”
Irene si è diplomata in Grafica d’Arte (tecniche di stampa e incisione) all’Accademia di Belle Arti di Brera, specializzandosi poi in Illustrazione Editoriale al Mimaster di Milano. Tra i suoi lavori recenti c’è l’illustrazione del libro per l’infanzia Forse i topolini mangiano le susine? pubblicato a ottobre 2019. Conosciamola meglio!
Ciao Irene. Iniziamo con una breve introduzione per i nostri lettori: da dove vieni e che cosa fai.
Ciao! Vivo a Crema, dove divido le mie giornate tra il graphic design (in particolare mi occupo di branding e packaging) e l’illustrazione (soprattutto rivolta a bambini e ragazzi, ma non solo).
Come descriveresti il tuo stile?
È abbastanza difficile per me rispondere a questa domanda perché non saprei descrivere il mio stile a parole. Il fatto di cercare uno stile personale, distinto e definito è stato, soprattutto all’inizio, causa di molta insicurezza e dubbi per me. Notavo che la maggior parte degli artisti che ammiravo di più erano immediatamente riconoscibili attraverso il loro stile. La vedevo come una sorta di regola da seguire per poter fare questo lavoro. Ho sempre fatto fatica ad affezionarmi a un segno, piuttosto che a una tecnica o una forma. Ho avuto una formazione molto varia, partendo dall’incisione tradizionale all’Accademia di Brera fino ad arrivare alla computer grafica, passando anche per il teatro, la scrittura e la fotografia analogica in camera oscura. Ecco perché anche il mio stile è abbastanza eclettico. Passo da un segno realistico e preciso ad uno più spontaneo e disordinato, dal collage alla pittura, mescolo continuamente il manuale col digitale. Ad ogni nuovo progetto mi lascio influenzare dal tipo di soggetto richiesto, dal testo o dal contesto, dalla sua storia ecc. In base a questo varia un po’ anche lo stile che scelgo, a volte in maniera del tutto inconscia. Comunque quello che all’inizio vedevo come uno svantaggio, ora lo trovo un punto di forza perché mi permette ogni volta di svincolarmi da quelle precedenti e “ricominciare” un po’ da capo, continuare a sperimentare e soprattutto non annoiarmi.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Di tutto un po’. Come dicevo prima, ho inseguito e continuo ad inseguire molti interessi diversi, di conseguenza attingo da tutto ciò che vedo e vivo: natura, teatro, fotografia, arte, cinema, letteratura. Ho sempre avuto una curiosità verso il teatro di strada, le marionette, i burattini, i giocattoli antichi, le vecchie fotografie analogiche in bianco e nero. Nel mio background ci sono sicuramente i film di Charlie Chaplin, Greenaway, Lynch, Wes Anderson, Leos Carax, Tornatore, Fellini, l’arte di Magritte, Rousseau, Van Gogh, Ensor, Schiele, Aubry Beardsley, Luise Bourgoise, Tacita Dean, le incisioni e i disegni di Max Ernst, Picasso, Kiki Smith, i pattern di William Morris, le fotografie di Diane Arbus, Richard Avedon, Tim Walker, Cartier-Bresson, Karl Blossfeldt, le scenografie di Robert Wilson, Finzi Pasca, Marcello Chiarenza, Danio Manferdini, Lenz Fondazione, l’animazione stop- motion, i libri di Baricco, Benni, Pennac, Safran Foer, Shane Jones, Calvino, Saramago, le poesie di Mariangela Gualtieri, Guido Catalano e Alda Merini e le favole di Gianni Rodari, Roberto Piumini e Dino Buzzati. La natura, sopra a tutto, è ciò che non smette mai di meravigliarmi. Ho avuto la grande fortuna di vivere un’infanzia piena e felice e credo che una sua briciola mi sia rimasta negli occhi.
Quale tecnica utilizzi?
Alla base c’è sempre una tecnica manuale, che può andare dalla grafite alle matite colorate, alla tempera o acrilico, agli acquerelli, al collage di carte, texture e fotografie. Spesso in seguito intervengo con il digitale per la colorazione o per il montaggio dei vari pezzi o anche per una semplice post-produzione.
Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
Sophie Lecuyer, per la sua potente empatia ed espressività, Isidro Ferrer per la sue giocose e geniali metafore visive e Albertine (Zullo) per la sua commovente semplicità.
Digitale VS analogico: uno strumento tradizionale ed uno tecnologico a cui non potresti mai rinunciare.
La matita micro-mina e il mio scanner.
Quanto è importante per un artista la presenza sui social media?
I social media ormai sono un mezzo di comunicazione accessibile a chiunque, ti permettono di comunicare con il resto del mondo anche quando nessuno te l’ha chiesto, di essere trovato anche quando nessuno ti cercava. Sono tanto potenti quanto incontrollabili. Cerco di usarli come una vetrina in cui esporre il mio lavoro, per avere delle opportunità in più. Alla fine la maggior parte delle mie commissioni sono arrivate e continuano ad arrivare da internet, perciò non posso che essergli riconoscente. Credo che, soprattutto all’inizio, siano molto utili per far funzionare un lavoro come il mio.
Cosa c’è sulla tua scrivania?
In realtà la mia scrivania è abbastanza ristretta perché vivo in una casa piccola piccola, quindi ogni volta mi tocca risistemare tutto quello che ho tirato in giro (soprattutto se non voglio che le mie gatte ci giochino per tutta la casa). Però ci passa di tutto. In questo momento ci sono matite varie, pastelli, pennelli, tubetti di colore, un vasetto d’acqua, forbici, carte di vario tipo, una gatta, un computer e una taglierina.
Un obiettivo lavorativo che vorresti realizzare entro un anno.
1. Mi piacerebbe pubblicare un libro illustrato e scritto da me. Ho iniziato e poi messo in sospeso alcuni progetti di questo tipo che, prima o poi, vorrei trovare il tempo (e l’editore) per poterli realizzare.
2. Avere una scrivania un po’ più grande.