Pierluigi Longo è uno dei nomi più interessanti del panorama degli illustratori professionisti italiani. Classe 1969, milanese, dopo aver frequentato l’Istituto Europeo del Design, nel 1993 inizia a lavorare come freelance, soprattutto in ambito editoriale (l’avrete visto spesso sulle più importante testate nazionali). Oggi si racconta ai lettori di PICAME in questa intervista, svelandoci curiosi aneddoti sulla sua carriera e regalandoci inoltre un nuovo, bellissimo header.
Ciao Pierluigi. Quando e come hai capito di voler fare l’illustratore?
Ho disegnato e fatto collage fin da piccolo. Dopo il liceo artistico ho deciso di frequentare il corso di illustrazione allo IED perché mi sembrava che l’illustrazione fosse un’applicazione concreta della mia passione per il disegno; solo dopo aver terminato il triennio del corso però, ho capito che era proprio il lavoro che desideravo fare.
Hai conservato il tuo primo lavoro su commissione?
Si, non so dove ma da qualche parte l’ho conservato: parliamo dei primi anni ’90. Una rivista di cucina mi commissionò due illustrazioni sullo storione: secondo la direttrice artistica un pesce troppo brutto da rappresentare con una foto. Non molto esaltante come lavoro, ma il giornale era edito da Mondadori ed io ero molto felice di lavorare con un editore così importante. Sono stato ancora meno felice quando, andando a ritirare la tavola ad acquarello (all’epoca si consegnava un “originale”), ho scoperto che in redazione avevano ritagliato il pescione per incollarselo a vicenda sulla schiena, tra colleghi: era il primo di Aprile…
Pensi che il mondo dell’illustrazione sia cambiato? Se sì, in che modo?
Il mondo dell’illustrazione è decisamente migliorato per quanto riguarda la qualità del lavoro: quando ho iniziato io tutto verteva in gran parte sulle capacità tecniche dell’illustratore, mentre l’immagine come espressione dell’identità dell’autore era poco richiesta e poco praticata. Oggi è l’esatto contrario. Anche la promozione attraverso internet è molto più efficace e razionale, mentre prima tutto era più difficile e frustrante. Nascono in continuazione nuovi talenti anche in Italia e anche questa è una novità positiva. I compensi e gli spazi, invece, si sono purtroppo ridotti ed è diventato un lavoro sempre più di nicchia, in parte compensato dalla possibilità di pubblicare in tutto il mondo.
Quale tipo di messaggi preferisci illustrare?
Mi trovo maggiormente a mio agio se il tema è il più generale possibile, poiché non sono molto bravo ad illustrare un concetto preciso, anche se a volte qualcosa di interessante è emerso, sempre comunque con una certa fatica. Sono più interessato ad una ricerca sulla forma; il che comunque non esclude che questa trasmetta un concetto. In ogni caso penso che i miei lavori più interessanti siano quelli più ambigui e aperti a diverse interpretazioni. Immagino sia evidente, guardando le mie illustrazioni, che sono concentrato anche sull’aspetto decorativo dell’illustrazione. Il mondo che mi interessa è il passato, mi piace rivisitarlo. Mi affascinano alcune epoche in particolare, soprattutto i primi decenni del Novecento, ma non solo. Ho sempre ammirato il lavoro di Fornasetti: lo considero un vero maestro per ironia e pessimo “buon gusto” come amava dire lui stesso.
Hai avuto e hai clienti importantissimi (solo per citarne alcuni: Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Internazionale, Il Sole24Ore, Eni, GQ, Rolling Stones, Corriere della sera, la Repubblica, New Scientists, etc.). Qual è il tuo approccio con il lavoro che ti viene richiesto? Hai bisogno di sentirti libero o preferisci avere delle linee guida, ad esempio?
Se il lavoro ha un tema particolarmente ostico o se devo arrivare a chiedermi “perché diavolo hanno chiamato me invece di un altro”, sono disperatamente alla ricerca di linee guida da parte del committente; negli altri casi preferisco invece essere il più libero possibile. Non è molto facile fare degli schizzi con la mia tecnica, perché le fasi preliminari sono troppo distanti dal definitivo. Spesso – e soprattutto all’estero – è però richiesto e necessario.
Qual è la giornata tipo di un illustratore?
Difficilmente inizio prima della dieci del mattino, a meno che non sia un periodo particolarmente concitato: di mattina finisco ciò che ho iniziato il giorno prima, rispondo alle mail o mi occupo della burocrazia. Il pomeriggio invece lo dedico ad iniziare i lavori nuovi. Condivido uno studio con due illustratori: Massimo Basili e Franco Brambilla. Ammetto che siamo veramente spietati nei giudizi reciproci su quello a cui stiamo lavorando, e ritengo che questo sia un contributo fondamentale: farei delle illustrazioni più brutte se lavorassi da solo.
Che tecniche o strumenti preferisci utilizzare per il tuo lavoro?
Uso quasi esclusivamente Photoshop. Le fonti dei miei collage sono soprattutto internet, vecchi libri o cartoline acquistate nei mercati dell’usato; uso anche “fondi” che dipingo e poi scansiono. Mi capita anche di disegnare le figure, acquisirle in digitale e cercare di conseguenza i “pezzi” coi quali riempirle. Mi piacerebbe in futuro tornare ad usare le matite e l’acquarello, come facevo quando ho iniziato, senza abbandonare però l’approccio “taglia e incolla” che uso di solito in fase di progettazione.