Martina Lorusso, in arte Momusso, è una giovane illustratrice e art director umbra che con i suoi disegni semplici racconta il mondo delle emozioni, anche di quelle che non hanno ancora un nome.
Il suo account Instagram è un tripudio di stati d’animo, istantanee di vita vissuta, riflessioni frivole e profonde, dissertazioni su temi anche molto seri come la violenza di genere, il bullismo, la depressione. Per trattare queste tematiche ha inventato un nuovo linguaggio, fatto di disegni semplici, parole scritte a mano e rubriche speciali. L’approccio “psicologico” è una costante in tutta la produzione di Martina, che sfrutta la sua sensibilità per trasmettere messaggi positivi, sdrammatizzare sui problemi della vita e creare empatia tra le persone. Il tutto edulcorato da abbondanti dosi di ironia.
Il suo Vocabolario Sentimentale, pubblicato lo scorso febbraio da Giunti Editore, è un libro che nasce dall’esigenza di trovare nuove definizioni, una raccolta di ibridi linguistici in grado di esprimere la complessità dei sentimenti e delle relazioni. Ci sono poi le Dichiarazioni D’amore: semplici in maniera quasi disarmante, sono le parole che vorremmo sentirci dire nei momenti di sconforto, quelle che che ci tirano sul il morale e ci fanno riappacificare col mondo e con noi stessi. E ancora Le Parole Che Vorrei Dirti (e Dirmi), pensieri che dovremmo avere il coraggio di esprimere chiaramente agli altri o a noi stessi.
Di queste e di altre storie ho parlato direttamente con Martina, che per l’occasione ha realizzato un emosegno (capirete cos’è proseguendo nella lettura) appositamente per i lettori di Picame.
Ciao Martina, benvenuta su Picame. Parlaci un po’ della “dolce fanciulla combina guai” che risponde al nome di Momusso.
Sono mezza veneta e mezza pugliese, cresciuta a Terni, ho studiato a Verona e adesso vivo a Milano. Sono una grafica e illustratrice pop. Amo la diversità, i gatti, la parmigiana e l’odore di gelsomino. Non amo i carciofi, alzarmi dal letto quando fuori è freddo, cucinare e pulire i piatti. Cerco l’empatia e la comprensione.
Hai all’attivo numerose collaborazioni con musicisti del calibro di Niccolò Fabi, Brunori s.a.s. e Coez. Quello discografico è un settore su cui hai puntato o ti ci sei ritrovata per caso?
Il mondo della musica è sempre stato un mondo affascinante per me. Non so suonare nemmeno uno strumento. Ci ho provato, da piccola ho preso lezioni di pianoforte. Le cose imposte non mi sono mai andate a genio e quindi lasciai perdere. Ma per la musica ho un amore profondo, non smetterò mai di avere passione nell’ascoltarla. Quando ho iniziato a disegnare ero guidata dalla musica, come se riuscisse a teletrasportami altrove. Ho iniziato a rendere omaggio ai miei artisti segnando per loro qualcosa che visualizzasse le loro note. Ho pubblicato i disegni sui social, taggandoli. Un po’ per caso un po’ perché desideravo ardentemente che un mio disegno potesse creare un ponte tra musica e parola.
Tornando all’illustrazione, qual è il primo disegno che riesci a ricordare?
Ho iniziato a disegnare in un momento di forte depressione. Era il 2013 e sentivo l’esigenza di dover affrontare la mia insonnia, la mia voglia di non mangiare, la voglia di non uscire. Disegnavo le mie paure a notte fonda. Non avevo uno scopo preciso ma sentivo il dovere di salvarmi. Omini neri attorcigliati attorno a figure di donne scarne. Sentivo che queste mie paure (identificate come delle figure nere) non erano pericolose, cercavano solo un modo per essere accettate. Trovai loro una forma e un nome.
Da dove trai l’ispirazione?
Spesso quando faccio viaggi in treno, quando ascolto musica, quando pulisco casa e quando faccio spesa. Ho cercato di trarre ispirazione da cose semplici e quotidiane per poterle ripetere spesso. In realtà penso fortemente che l’ispirazione si possa trovare ovunque basta lasciar andare i pensieri. La mente farà il resto. Me la immagino così la mia mente: una stanza piena di scaffali e un signore che cerca di sistemare tutto quando io penso a tutt’altro. Si compone così la mia idea dall’esigenza di trovare una soluzione e la capacità di non pensare al problema.
“Ho iniziato a disegnare in un momento di forte depressione. Non avevo uno scopo preciso ma sentivo il dovere di salvarmi”
Hai instaurato un rapporto stretto con i tuoi follower, che a volte coinvolgi nel processo creativo. Come è nato questo legame?
Momusso nasce sui social. Ho sempre voluto farmi capire. Un po’ perché da piccola sono stata vittima di bullismo. La mia incapacità di comunicare è stata la vera forza che mi ha spinta a trovare un modo semplice per farlo. La comunicazione per esistere deve avere un interlocutore. Certo possiamo avere delle bellissime conversazioni con noi stessi ma la vera e pura comunicazione è con l’altro. Grazie all’altro conosco altri mondi. I social mi hanno aiutata in questo, hanno accorciato le distanze e mi hanno fatto capire che ogni cosa che diciamo, che facciamo e che postiamo ha una ripercussione. Amo il modo con il quale i miei follower mi scrivono e si aprono a me. Mi sento una custode “emozionauta”. C’è così tanta bellezza ed emozione nei social che inevitabilmente c’è l’oscurità che dilaga. È sempre la motivazione di un’azione a fare la differenza.
Il tuo account Instagram è un mix tra lavoro e vita privata, come mai hai scelto di metterci la faccia?
Non posso scindere quello che sono da quello che creo proprio perché c’è un legame intimo con il disegno. Sono così, come sembra e molto di più. Usando i social usciamo anche dei filtri, inevitabilmente, ma con il tempo ho capito che questi filtri potevano essere d’intralcio per il mio scopo di comunicare. Ho deciso di metterci la faccia perché ci credo in Momusso. Insomma sono io.
Quali sono le tue passioni oltre all’illustrazione?
In realtà non ho passioni come ad esempio lo sport o cucinare o qualsiasi alta cosa che richieda un’azione. Ho una passione per i treni, mi piace tantissimo prenderli, andare a fare spesa, ascoltare musica e mangiare. Che passione immensa verso il cibo, entro in estasi. Che banalità ma forse per me non lo è quindi mi va bene così.
Parlaci del tuo Vocabolario Sentimentale.
Nasce nel 2015 e non aveva lo scopo di diventare libro. Erano delle illustrazioni nate da un’esigenza: trovare forma e parola a emozioni che non ne avevano. Da sempre la mia esigenza di farmi capire non aveva un mezzo. I bambini per conoscere il mondo disegnano e a volte per farsi capire inventano parole onomatopeica e fantasiose. Oltre ad aver subito parola con il bullismo a volte quelle parole che desideravo non mi sono mai state dette. Mi è sembrato ingiusto e allora me le sono inventate per me, per dare senso alla parola fine, per capirci. Ringrazio chi non ha avuto parole per me perché mi ha dato modo di creare il Vocabolario Sentimentale. Il libro nasce 3 anni fa grazie a Giunti Editore che ha creduto nel mio progetto. Sono nati gli EMOMU: l’unione di idiomi e disegni che potessero creare un nuovo codice comunicativo. Gli EMOMU si dividono nei diversi capitoli. Il libro inizia dalla “mancanza”, il vero motore che spinge gli esseri umani al movimento, all’azione. Poi c’è il capitolo “tristezza”, la consapevolezza che quella mancanza è reale e non colmabile come vorremmo. Quando si accetta e non si scaccia arriva la “Speranza” dettata dal nostro credo. Si arriva al capitolo “coraggio”, che è una forza sconosciuta che arriva dalle persone intorno a noi. Finisce con il capitolo “amore”, quando finalmente amo il risultato di me stessa senza giudicarlo.
“Durante il lockdown avevo perso il lavoro, ero sconfortata e impaurita. Poi mi sono detta: ho un canale popolare, forse posso fare qualcosa per essere vicina a tutti e anche a me stessa”
A proposito di parole, mentre scrivevo questa intervista mi sono chiesto quale fosse il termine giusto per descrivere i tuoi lavori. Chiamarli disegni o illustrazioni suona incompleto. Tu come li definiresti?
Emosegni suona bene? Emozioni + disegni 🙂
Come hai vissuto il periodo del lockdown e che ruolo pensi abbiano avuto gli artisti in quel frangente?
Avevo perso il lavoro, ero sconfortata e impaurita. Poi mi sono detta “ho un canale popolare, forse posso fare qualcosa per essere vicina a tutti e anche a me stessa”. Ho creato il Vocabolario della Quarantena insieme ai miei follower. Chiedevo a loro cosa stessero provando. Sono nate parole nuove ed è stato emozionante. Era come se poco a poco dessimo il benvenuto a queste nuove emozioni. Questo gioco nato su Instagram ci ha fatto stare meglio. Quando finalmente la quarantena è finita ho creato un PDF con tutte le nostre nuove parole e l’ho regalato a tutti. Ringrazio ogni singola persona che si è aperta a me mostrandomi le paure e le gioie provate.
Se dovessi inventare una parola per descrivere il momento che stiamo vivendo, quale sarebbe?
Non ne ho una, perché è un momento molto conflittuale con ciò che penso del mondo intorno a me. Si rispecchia su ciò che penso di me. A volte non definire qualcosa è un bene, ti da la possibilità di non avere confini. Ora come ora non li voglio. Viviamo quello che verrà e prima o poi riusciremo a trovare le parole giuste. Ora è il momento del silenzio. Cosa che invece non sta accadendo. Usiamo tante parole e le usiamo male, ferendo e colpendo. Il silenzio in questo caso può dar valore. Fermarsi a pensare in silenzio con noi stessi. Paura eh? Ma è la cosa più potente che possiamo fare. Almeno io la penso così.
Progetti per i mesi a venire?
Sta per uscire un lavoro con Cameo Italia e Gruppo Bacardi. Insomma pizza e aperitivo, niente male!
Le Parole Che Vorrei Dirti
Alcune parole dal Vocabolario Sentimentale
Momusso x Picame – 2020
Dichiarazioni d’Amore
Martina
– Leggi anche: