Le canzoni servono a formare una coscienza. Sono una piccola goccia dove servirebbero secchi d’acqua. Cantare, credo che sia un ultimo grido di libertà. Forse il più serio.
Ho avuto il piacere di partecipare ieri sera all’inaugurazione della mostra dedicata a Fabrizio De André nella suggestiva cornice di Palazzo Ducale a Genova per ricordarlo nel decimo anno della sua scomparsa. Più che una visita si tratta di un vero e proprio viaggio dal forte impatto emotivo alla scoperta della vita e della poetica di Faber. Amore, morte, guerra, anarchia e libertà emergono dagli scritti originali e dalle testimonianze degli amici più cari e, attraverso le installazioni multimediali di Studio Azzurro, si trasformano in un vero e proprio dialogo intimo con Fabrizio. Un percorso che riscopre l’indissolubile unione tra il cantautore e la sua Genova, un dialogo capace di esprime tutta la potenza e la bellezza del dialetto per una storia fatta di emarginati, condannati dal conformismo e dalla falsa morale.
Un omaggio non solo ad un grande artista ma ad uomo che ha saputo cogliere le pieghe dell’animo ed esprimerle con una franchezza disincantata, a tratti aspra e pungente così simile a quel vento che soffia tra i suoi amati vicoli.