Faux Food

Sbizzarrirsi prendendo spunto dal cibo, che non è dunque sempre fatto per essere mangiato, è ormai un fenomeno gettonatissimo. Gli spazi scelti da David Sykes diventano luoghi folli e creativi dove poter lavorare. Pareti sistemate come tovaglie sulle quali potersi cibare di… attrezzature da palestra agrodolci? Croccanti palloncini colorati? Asciugamani alla griglia? L’idea è il fast food di Faux Food.

Vestire alla marinara e raccattare abiti scampanati, con un paio di euro in Senigallia, per manifestare la nonchalance dell’eleganza vintage. Crema e caffè, sebbene invernali, colorano chemisier accarezzanti pelli anemiche. Questo, il significato del vento. Al di là di quell’esposizione dal sapore preistorico, matrone del mercato improvvisano slogan accattivanti, impossibilitando il rifiuto. Respingere la consapevolezza di un’acquisto vano, per il puro piacere di spendere. Scopro di non poter sopportare l’idea di un futuro benestante, nel momento stesso in cui l’edicolante riesce a strapparmi una ventina di euro, un martedì pomeriggio qualunque. Mi piace scrivere, ma solo se quando lo faccio non dico cose interessanti. Mi chiamo Cecilia ed ho dei bei capelli.

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