Non chiamateli tappeti. Quelli di Faig Ahmed sono vere e proprie opere d’arte che prendono l’antica tradizione tessile dell’Azerbaigian e la stravolgono, catapultandola nel ventunesimo secolo.
L’ultima sua creazione, intitolata “Doubts“, è stata terminata dopo diversi mesi difficili nei quali lo studio tessile è stato chiuso ripetutamente a causa della pandemia. Il tappeto si sviluppa regolarmente fino a circa metà della sua lunghezza per poi dissolversi in un fluido viscoso: un’illusione ottica, realizzata tessendo le fibre con la più tradizionale delle tecniche.
In altre opere l’artista trasforma l’intricata trama del tappeto in una più basica e contemporanea matrice di pixel, crea distorsioni spaziali oppure interrompe bruscamente il tripudio di colori del tessuto per passare al bianco e nero. L’effetto è così spiazzante e imprevisto che viene spontaneo meravigliarsi che se si tratti di manufatti artigianali piuttosto che di elaborazioni digitali.
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Per questa sua sua capacità di unire tradizione, innovazione e creatività Faig Ahmed è divenuto famoso in tutto il mondo. Ha esposto a New York, Mosca, Londra, Berlino. Nel 2016 il Macro Testaccio di Roma ha ospitato una sua imponente installazione, intitolata “Points of perceptions“.