Angelo Ruta è quel genere di illustratore a cui piace disegnare come si faceva una volta, senza cedere alle lusinghe e alle comodità della tecnologia. Da una scrivania ricolma di pennelli, colori e matite, dà sfogo alla sua illimitata fantasia restituendoci immagini morbide e sorprendentemente profonde in cui realtà e sogno convivono in splendida simbiosi. Il suo tratto è rassicurante, le linee mai troppo nette, i colori caldi, le prospettive impeccabili. Con l’abilità di un regista Angelo mette in scena tutto il suo immaginario, sconfinato e senza tempo.
Nato a Ragusa nel 1967, si è formato a Milano, dove ha frequentato il Corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, il corso superiore di Illustrazione e Fumetto alla scuola Arte & Messaggio e quello di Tecnica Cinetelevisiva alla Civica Scuola di Cinema. In 25 anni di carriera Angelo ha esplorato diversi linguaggi espressivi, dall’illustrazione al teatro, passando per il cinema (il suo “Gli occhi aperti” è stato premiato come miglior corto italiano al XIV Torino Film Festival). Ha pubblicato libri illustrati con tutte le più importanti case editrici italiane e collaborato con svariate riviste.
Capirete quindi quale onore sia stato per me poterci scambiare quattro chiacchiere e ricevere l’header che Angelo ha voluto regalare ai lettori di Picame.
Ciao Angelo, benvenuto su Picame. Illustratore, sceneggiatore, scrittore, designer e regista pluripremiato. Insomma sei la dimostrazione vivente che la creatività non ha confini.
Direi che la curiosità non ha confini. Però è anche un’arma a doppio taglio: sono discontinuo e mi perdo spesso.
Concentriamoci sul tuo lavoro di illustratore. Il tuo stile è molto tradizionale e sembra essere passato indenne sotto i colpi della rivoluzione digitale. Non hai mai avuto la tentazione di abbandonare carta e matita e impugnare un tablet di ultima generazione?
No, mi sento molto a mio agio con gli acquerelli e le matite. E mi lascio prendere in giro volentieri dai tanti amici che hanno tentato di insegnarmi la tecnica digitale.
Però anche tu hai ceduto al richiamo dei social media. Lavorativamente parlando li consideri uno strumento utile?
Più che utile: necessario. Per chi fa il mio lavoro, i social sono uno strumento di conoscenza e di confronto. Mi consentono di guardare molto. Soprattutto mi interessa la condivisione di visioni “dal basso”, immagini cui prima non si poteva avere accesso.
Cosa c’è sulla tua scrivania?
Piatti, matite, briciole, libri e fogli di carta. Ti faccio una foto.
Sei un artista molto prolifico e, tra le altre cose, pubblichi regolarmente su “la Lettura”, l’inserto culturale del Corriere della Sera. Ti capita mai di avere dei black-out creativi e, se sì, come risolvi l’impasse?
Da un po’ di anni non mi capita più, anzi faccio molta fatica a star dietro a tutto. E sono perennemente in ritardo. Tuttavia, periodicamente ho bisogno di nutrirmi di immagini: mostre, teatro e cinema. E libri illustrati, naturalmente.
Sembra che l’illustrazione italiana stia vivendo un momento d’oro. Qual è il punto di vista di chi, come te, questo lavoro lo fa da 25 anni?
È vero e secondo me dipende in gran parte proprio dalla rivoluzione digitale. Mi riferisco alle tecniche di stampa, che hanno consentito all’illustrazione e alla grafica di esprimersi a un livello molto alto rispetto a venti o a dieci anni fa. E poi è cambiata la percezione del lettore, che vede nell’illustrazione il mezzo più convincente per trovare la sintesi visiva di un concetto.
Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
Mi piace molto Andrea Serio, che non conosco se non attraverso i suoi disegni. Mi diverte Valeria Petrone, e lei sa che la stimo. Sono ammirato dalla sintesi di Massimo Caccia.